Questa è una piccola ricerca esclusiva su uno spaccato di visioni architettoniche ed urbanistiche. Probabilmente agli accademici storici dell’arte non piacerà. Perché scritta da uno non titolato che non frequenta i loro salotti. O forse sì, magari se ne approprieranno senza citare la fonte di chi svolge, da alcuni anni, una personale ricerca sulle città impossibili, sulle “inesistenze”. Sugli improbabili spazi urbanistici ricreati grazie all’immaginazione di artisti del passato e del presente. Sono graditi commenti e segnalazioni di ulteriori artisti del genere. Andiamo in ordine cronologico… La Roma impossibile di Cimabue La prima immagine che vedete è un dettaglio tratto da una volta della Basilica superiore di Assisi. Cimabue vi dipinse gli Evangelisti e, in questo dettaglio, c’è una visione particolare di Roma. Pur non esistendo numerose documentazioni visive di Roma risalenti al medioevo, è evidente che l’agglomerato di edifici accatastati tra loro, non rispettano la normale collocazione topografica. Trattasi di alcuni tra i principali monumenti della città. Si distinguono San Pietro (prima della sua ricostruzione), Castel Sant’Angelo, la Meta Romuli (ora distrutta), la Torre delle milizie, il Pantheon, il Palazzo senatorio del Campidoglio. L’opera è stata datata intorno al 1277-1280 circa. Credo che questa sia la prima visione impossibile di una città. Il primo “fotomontaggio” mai realizzato nella storia dell’arte. Cimabue un genio? Sì, se si considera anche l’episodio di Giotto che dipinse una mosca su un dipinto e il suo Maestro nel cercare di scacciarla, riconobbe al suo allievo altrettanta genialità dicendo probabilmente <<l’allievo ha superato il Maestro>>. Solo un genio può riconoscere un altro genio. El Greco il pittore cartografico che barò Qui siamo invece tra il 1604 e il 1614 e sembra che solo a distanza di oltre 300 anni ci troviamo di fronte a un altro esempio di città impossibile. Stravolta nel suo reale assetto urbanistico. Si tratta della vista della città di Toledo realizzata da El Greco. Questa visione di Toledo non è possibile da nessun punto di vista reale nello spazio. Questa vista è un montaggio complesso; una rappresentazione composta da un montaggio in cui si interpongono oggetti “fotografati” singolarmente che, in natura, si nascondono l'un l'altro o girano indietro lo spettatore. - Sergei Mikhailovich Eisenstein È una rappresentazione della città in due dimensioni, statica, che presuppone il mutamento dei punti di vista dove lo spettatore si sposta. Stiamo parlando praticamente, di “immagini in movimento”. Quasi come se anticipassero il montaggio cinematografico. Il dinamismo in un’immagine statica. Definibile “cinematismo visivo”. Ma non è cubismo. Didien Barra, l’arte condivisa e la prima Napoli impossibile San Gennaro protegge la città di Napoli (1652; presso Arciconfraternita dei Pellegrini – Napoli). E anche qui abbiamo una sorta di ricostruzione topografica “assonometrica”, realizzata da Didien Barra, dove il cinematismo visivo serve a mostrare il lato migliore degli edifici come la facciata del Palazzo Reale che in realtà è ubicata al lato opposto (v. dettaglio foto in basso). È comunque un dipinto eccezionale anche perché basato solo su una cartografia: all'epoca non esistevano elicotteri o droni per poter riprendere da un tale punto di vista. Il quadro completo è con San Gennaro dipinto da Onofrio Palumbo. Canaletto il capriccioso Capriccio con edifici palladiani 1756-1759. L’abbiamo capito, no? I capricci (d’artista) erano quelle reinterpretazioni visionarie che pittori e incisori visualizzavano reinventando luoghi, decontestualizzandoli, creando illusioni architettoniche, urbanistiche. In questo dipinto di Canaletto, che sembra una vista di Venezia a tutti gli effetti, in realtà vi sono rappresentati edifici che sono ubicati in altre città. A destra c’è la Basilica Palladiana e a sinistra Palazzo Chiericati (entrambi di Vicenza) e al centro il Ponte di Rialto di Venezia, sì, ma è una versione mai realizzata. Tutti edifici progettati da Andrea Palladio. Piranesi, ristrutturatore dell'antichità Le antichità romane (1756) Quando mi accorsi che a Roma la maggior parte dei monumenti antichi giacevano abbandonati nei campi o nei giardini, oppure servivano da cava per nuove costruzioni, decisi di preservarne il ricordo con le mie incisioni. Ho dunque cercato di mettervi la più grande esattezza possibile. - Piranesi Le opere di Piranesi riassumevano in un unico “capriccio”, archeologia, mito, invenzione e storia del suo tempo. Ricostruzioni immaginate, probabili, ricche di dettagli, ma non veritiere. Marianne Brandt, la donna della Bauhaus Unsere irritierende Großstadt, (La nostra città irritante), è del 1925. È l’era del dadaismo. Nasce il collage. Ritagli di giornali vengono ricomposti con la colla per scopi puramente artistici ma la grafica coglie l’opportunità per impaginare manifesti o illustrare copertine di libri. La Bauhaus abbraccia questa tecnica, o per ricerca o per la comunicazione, accogliendone gli artefici come Marianne Brandt, Paul Citroen, Laszlo-Moholy-Nagy. L’individuo è assordato dal caos della vita quotidiana, dalla frenesia di una metropoli in cui avvengono fatti che si sovrappongono. Eventi politici, progresso industriale, manifestazioni sportive. Tanta roba che attraverso questa immagine traspare il bisogno di avere il tempo necessario per metabolizzare gli effetti della metropoli. Resettarsi. L'opera anticipa la sindrome da rivoluzione del progresso: lo stress da città che sarà. Quasi prevedendo gli effetti psico-sociali della folle corsa alla ripresa del dopoguerra. Paul Citroen, il collage che ispirò il film Metropolis Metropolis (1926) È quella che ritengo icona sacra delle metropoli visionarie contemporanee. Il La. M. C. Escher, l'artista che realizzava l'impossibile Planetoide tetraedrico (1954) Cronologicamente a Piranesi, come grande incisore visionario, gli succede M. C. Escher. Qualcuno dice che è il Padre dell’Optical Art anche se lui non non si è mai immedesimato in alcuna etichetta. È il genio che ha stravolto la prospettiva rendendola impossibile. Anche se a scuola era un pessimo allievo soffrendo di discalculia. Anche se fisici e matematici lo vollero come conferenziere in alcuni loro meeting. Questa sua immagine anticipa in un certo senso il cinema di fantascienza ricordando Upside down (Il mondo di sopra). Anche se invece sono stati utilizzati altri suoi concept in Inception (la scala di Ascendente e discendente) o in Labyrinth (le scale di Relatività). Jerry N. Uelsmann, le creazioni in camera oscura Col passar dei secoli le tecniche per visualizzare l’immaginifico si perfezionano, cambiano. E così dalla pittura e l’incisione si passò alla fotografia dove il pioniere Henry Peach Robinson (1830-1901) di cui segnalo il fotomontaggio realizzato in camera oscura, anche se con più passaggi, di Fading Away. Eliografie, stampe a mezzi toni, fotomontaggi “in chiaro”, venivano utilizzati per realizzare simulazioni verosimili di progetti architettonici da Le Corbusier e Mies van der Rohe nella prima metà del ‘900. Ma si trattava di progetti, frutto di visioni da archistar ma nulla di stravolgente, sotto il profilo della distorsione della realtà. Ma bisogna arrivare agli inizi degli anni ’80 per vedere i primi scorci urbanistici surreali realizzati da Jerry N. Uelsmann (11 giugno 1934). Un poeta della fotografia che fotomontava le sue visioni interamente in camera oscura. (foto: Senza titolo; 1982) Photoshop e dintorni
Con l’arrivo del Photoshop e di altri software per il rendering, dal 2000 ca. in poi, tutto è cambiato. Basta colla Coccoina e ritagli di giornali. Basta bacinelle e luce rossa e si è avuta finalmente una grande produzione di città impossibili. Digitali. Fantastiche. Verosimili a volte. Se avete letto fin qui, potete dare un’occhiata in rete ai lavori di quelli che ritengo tra i migliori del genere: Emily Allchurch, Giorgio Lo Cascio, Barbara Nati, Victor Enrich Tarres, Jim Kazanjian, Franco Donaggio, Aydin Büyüktaş e, naturalmente, non perdetevi me, Marco Maraviglia e il mio Impossible Naples Project.
0 Comments
A 11-13 anni mio padre mi mostrò in camera oscura come aveva realizzato alcune stampe foto-grafiche: erano i cosiddetti rayogrammi. A quell'età mi consentiva di usare la camera oscura per sperimentare, previa raccomandazione di non aprire i barattoli delle polveri magiche e pericolose: metolo, idrochinone, solfito, metabisolfito, soda caustica... Versavo nelle bacinelle i liquidi che mio padre aveva già preparato. Accendevo la luce rossa. Buio! Più che stampare le mie foto, mi piaceva impressionare la carta sotto la luce dell'ingranditore poggiandoci posacere in vetro, pastelli, garza... Ed ottenevo i miei rayogrammi. Negli anni '80 realizzai qualche sandwich (sovrapposizione di diapositive) avendone visti alcuni del grande fotografo Art Kane. Casuali, senza progettarli. Sono questi delle foto sotto. Soltanto questi. Non ho mai avuto la costanza di fare sempre la stessa cosa a meno che non mi sembra che ne valga la pena. Negli anni '90 avevo la Nikon FM2 che consentiva di fare doppie esposizioni per poter raggiungere effetti analoghi ai sanswich. Ma non ci ho mai provato perché sarebbe stata una sperimentazione costosa per le mie tasche. All'epoca un rullino da 36 pose costava intorno le 5mila lire. E mettici il costo dello sviluppo in laboratorio... Non so se rendo. Era prima che iniziassi a usare il Photoshop. Erano gli albori delle mie inesistenze. |
Il blog diImpossible Naples Archivio
Giugno 2024
|