Durante il lancio della mostra Impossible Naples Project, i social-manager della Leonardo Stampa Digitale mi fecero un paio di interviste che divulgarono attraverso i loro canali a distanza di qualche giorno l'una dall'altra. Eccone una di seguito. Leonardo Stampa: Ciao Marco, tra pochi giorni avrà inizio la tua mostra “Impossible Naples Project”. Quali sono le tue sensazioni e aspettative? Marco Maraviglia: Non mi nascondo dietro a un dito, chi mi sta incontrando in questi giorni nota che ho i nervi a fior di pelle. Grande tensione, ansia per la responsabilità che mi sento addosso di soddisfare le aspettative di oltre 130 sostenitori del progetto, adrenalina, ma innanzitutto piacere nel fare questa cosa. Le mie aspettative sono quelle di vedere i visitatori della mostra divertirsi a scrutare le immagini per riconoscere i vari luoghi di Napoli. Vorrei che partecipassero in tanti perché è un meccanismo che dovrebbe stimolare ad affezionarsi ulteriormente a una delle città più belle del mondo. Perché ne abbiamo bisogno. Salvatore Settis parla di “città invisibili” (citando Calvino), è tutto ciò che in una città non si vede ma c’è, è il cuore pulsante urbano: la memoria storica, le relazioni tra persone, le discussioni su ciò che avviene in città, gli eventi. Un bene immateriale che contribuisce a dare valore morale alla città intera. Leonardo Stampa: Il web ha permesso di raggiungere molte più persone, ma allo stesso tempo ha cambiato radicalmente le modalità di fruizione di una fotografia. Qual è il valore dell’incontro tra l’artista, le sue opere e i propri fruitori? Marco Maraviglia: Col web si possono raggiungere molti più fruitori ma non è detto che facciano parte di un pubblico mirato. Anche se il target te lo costruisci con liste personalizzate, non è detto che poi funzioni. Io mi ritrovo a vedere sui social una quantità di immagini ridondanti e quindi difficili da ricordare. Personalmente, come fruitore, vado a vedermi di proposito le immagini prodotte da alcuni autori che seguo e in particolare quelli che io dico far parte del “Visionarismo Contemporaneo”. Vedere ciò che fanno gli altri significa attingere ispirazioni, studiarne le tecniche, le soluzioni visive… imparare, dico, e mai copiare. Leonardo Stampa: Distogliere lo sguardo dai pixel del monitor per rivolgerlo agli atomi della materia. Quali sono le differenze tra queste due modalità di fruizione? Marco Maraviglia: Attraverso il monitor hai la possibilità di vagare nell’indefinito, puoi gestire e creare ciò che puoi osservare nella tua stessa mente ma per farlo è indispensabile osservare il mondo reale che però puoi gestire meno a tuo piacimento. Qualsiasi creazione è una connessione tra cose e persone. Un’idea non viene dal nulla ma dalla capacità di associare più elementi per crearne uno nuovo. Pixel e materia vanno interconnessi. Sono due cose differenti ma le differenze fanno crescere il mondo specie se in dialogo tra di loro. Leoardo Stampa: Dallo scatto analogico a quello digitale com’è cambiata la fotografia? Marco Maraviglia: Col digitale è aumentata la qualità tecnica della fotografia. Parlo sia dello scatto a monte che della postproduzione. È aumentato anche esponenzialmente il numero di fotografi e quindi il numero di quelli bravi. Col fatto di poter controllare sul display di una reflex l’istogramma o utilizzare un software come il camera control, si sono risolti grandi problemi per il controllo delle luci. Una volta prima di scattare una 9x12 su pellicola con banco ottico, si tirava una polaroid per controllare le luci e poi c’era tutta l’esperienza pregressa del fotografo per realizzare una foto tecnicamente perfetta. D’altro canto il digitale ha generato una sovrabbondanza di immagini, spesso inutili e che contribuiscono a generare ciò che io definisco “byte-inquinamento”. Gli archivi analogici (stampe fotografiche, negativi, diapositive, lastre), stanno ancora lì anche dopo oltre un secolo. I supporti per archiviare le immagini digitali non sono altrettanto affidabili. Mi è capitato alcune volte di infilare nel lettore un CD con delle foto scattate nel 2000 e scoprire che non si poteva più leggere. Una foto non è tua ma veramente tua se non ne possiedi il supporto analogico. Nessuno ci garantisce se tra 50 anni il jpeg potrà essere ancora letto dagli attuali sistemi. Leonardo Stampa: La stampa digitale: come ha influito sulla qualità delle immagini? Marco Maraviglia: È successa una cosa strana con l’avvento delle fotocamere digitali. Molti attualmente ancora non sanno che possono stampare i loro file fotografici con lo stesso procedimento chimico che veniva usato per stampare la cosiddetta “vera fotografia”. Io ancora stampo le mie foto personali presso il mio fotolaboratorio di fiducia che è lo stesso da oltre 20 anni. Detto questo c’è da distinguere la stampa digitale nei suoi vari processi. La ink-jet fatta a casa con la propria stampanina, quella a plotter, a sublimazione, la fineart... Credo che la qualità dipenda innanzitutto da un buon file di partenza e/o dallo stampatore che lo gestisce a seconda del supporto di stampa e del tipo di inchiostri utilizzati. Ovviamente anche la qualità della macchina da stampa fa il suo. Negli ultimi anni c’è questa tendenza da parte di molti fotografi d’autore di stampare fineart con procedimenti testati e garantiti per 150 anni. La qualità di risoluzione di stampa è ottima e anche i supporti a volte somigliano alle mitiche carte baritate che venivano usate per stampare le foto di una volta. Leoardo Stampa: Spiega secondo te perché i lettori dovrebbero venire a vedere la tua mostra. Marco Maraviglia: Perché è intrigante. Si tratterà di osservare con molta attenzione ogni immagine per cercare di individuare in esse tutti i luoghi e monumenti di Napoli che sono assemblati in maniera omogenea con altri pezzi della città. Perché bisogna appassionarsi alla città attraverso meccanismi che ne stimolano il senso di appartenenza. Questa mostra è uno di questi meccanismi: “riconoscerla per conoscerla” è infatti il claim della mostra. Perché ci si divertirà e impegnandosi un po’ ci sarà la possibilità di vincere una delle opere esposte che magari possono non piacere ma che, senza falsa modestia, posso dire che non ho mai visto nulla di simile a Napoli su Napoli sotto il profilo compositivo e tecnico. © Leonardo Stampa Digitale; intervista originale su Facebook
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La targa di ringraziamento dedicata ai sostenitori di Impossible Naples Project ha una sua storia... Eccola! Quando con l’Associazione Photo Polis che ha curato la mostra Impossible Naples Project, abbiamo iniziato a redigere tutti gli step del progetto del crowdfunding, uno dei principali problemi che si era presentato fu la scelta delle ricompense. O meglio, quali ricompense “creare”. Sapete che per i crowdfunding occorre incentivare le donazioni con una ricompensa, un premio, un gadget personalizzato da consegnare al sostenitore a progetto terminato. Per farlo sentire partecipe e per dargli l’opportunità di conservare un ricordo dell’iniziativa intrapresa anche grazie a lui. Per giorni e giorni mi chiedevo quali ricompense potessero avere un’originalità tale da intrigare. Perché sentivo che solo il concept della mostra-happening non bastavano. La maggior parte dei progetti in crowdfunding che analizzai notai che per le donazioni di minimo importo c’era un ringraziamento pubblico sulla pagina Facebook, una semplice mail inviata al sostenitore, una visita a casa e queste erano per me ricompense deboli, effimere. Per me doveva rimanere invece qualcosa in tempi più lunghi. Fu così che immaginai una targa di ringraziamento sulla quale sarebbero stati citati tutti i sostenitori. Anche quelli che avrebbero fatto donazioni di soli 5,00 ma preziosissimi euro. Ma non una semplice targa… Le targhe sono storia. Attraverso le targhe si celebrano per lo più personaggi che hanno realizzato un mondo migliore. Ma una targa, in qualsiasi materiale viene realizzata, resta fissa. Ferma. Inerte. Non mi bastava quindi la classica targa. Insomma, volevo una targa che funzionasse anche come matrice di stampa perché il mio desiderio era quello di poter avere la possibilità di stamparne alcune copie da regalare ad alcuni sostenitori e poter avere un supporto cartaceo da destinare magari ad alcuni archivi. Fu l’amico Carlo Porrini, cultore di arti grafiche, che mi indirizzò verso Officina d’Arti Grafiche di Carmine Cervone col quale intrapresi una chiacchierata per iniziare a capire quali caratteristiche tecniche avrebbe dovuto avere una targa così concepita. Il Maestro Cervone mi riferì che aveva una vecchia tirabozze che poteva essere utilizzata solo per matrici con caratteri a rilievo e quindi scartammo subito l’ipotesi della stampa calcografica. Però un normale cliché non andava bene perché il testo si sarebbe letto al contrario e realizzare un diabolico sistema di specchi per farlo leggere al pubblico nel verso giusto, non avrebbe avuto senso. Ecco, occorreva un cliché trasparente!!! Pensai allora al plexiglass e Carmine Cervone mi suggerì uno spessore minimo affinché la targa-cliché resistesse nella tirabozze. Ma, disse, che occorreva comunque fare una prova su un campione di almeno 10x10cm. Furono poi settimane in cui rincorrevo tutte le aziende che lavoravano il plexiglass. Su internet lessi che c’era la possibilità di inciderlo a laser ma tutti mi dicevano che era una follìa incidere tutta la parte esterna del testo per lasciare solo questo a rilievo. Soltanto un laboratorio volle provare a farlo e ci vollero quarantacinque minuti per incidere un pezzo di 10x10cm. Il risultato fu che i caratteri del testo erano ben leggibili ma il fondo era striato, non aveva un’opacità omogenea. Oltre non si poteva migliorare. Stavo rinunciando all’idea della targa-cliché quando mi venne un flash. Ricordai che all’ingresso di Made in Cloister (ex Chiostro di Santa Caterina a Formiello) c’è una targa con un testo a rilievo e chiesi all’arch. Giuseppe Martiniello come fosse stata fatta. Mi diede il numero di telefono di un certo Paolo Paciello, key-account della F.PE. SpA di Milano, il quale telefonai e gli spiegai cosa avevo intenzione di fare. Illuminato!!! Paolo capì al volo il problema ed ebbe l’abilità mentale di voler sperimentare questa nuova avventura. Disse che la targa esposta da Made in Cloister era una stampa su Dibond a inchiostro stratificato con tecnologia Canon e che era interessato a provare la stampa su metacrilicato trasparente. Ci incontrammo una mattina a Napoli e mi consegnò un campione che servì a fare la prova alla stamperia d’arte di Carmine Cervone. Scoprii solo allora che era napoletano. Sai, uno di quelli che magari si dicono “ma che ci sto a fare qui a Napoli”, ma questa è un’altra storia. La prova di stampa andò a buon fine ed ordinai subito a Paolo Paciello la realizzazione della targa intera con annessi distanziatori per il fissaggio a muro. Il resto è storia. Il 13 dicembre ci fu il finissage della mostra di Impossible Naples Project e, prima della proclamazione del vincitore dell’happening, fu smontata la targa dalla parete del loft del PAN e Carmine Cervone iniziò la sua performance: la stampa di alcune copie della targa con la sua preziosissima tirabozze. Un evento praticamente unico. |
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Giugno 2024
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